Ho sempre trovato la parola Europa sulle labbra di chi,
volendo qualcosa degli altri,
non osava chiederlo a suo nome.
Otto von Bismarck
Anche oggi uno spettro si aggira per l'Europa e questo spettro è l'euro. Ho il sospetto, infatti, che questa affascinante rappresentazione che punta a riattualizzare Mussolini per ridestare una contrapposizione tra Destra e Sinistra altrettanto sepolta dalla Storia, nasconda solo il tentativo maldestro – oppure disperato - di allestire una barriera di sicurezza tra le forze del sovranismo politico italiano, le quali, come la fratellanza europeista ha ben compreso, presentano due caratteristiche alquanto temibili.
Pur divisi dalle soluzioni e dagli schieramenti, infatti, CinqueStelle, Lega e Fratelli d'Italia sono ancora accomunati dall'avere compreso e sostenuto che l'euro è un problema che chiede di essere risolto. Ciò tuttavia non farebbe suonare le campane di Bruxelles se i sondaggi - che oggi quotano Di Maio intorno al 30 per cento, Salvini vicino al 15 e la Meloni al 5 - non configurassero per questa del tutto teorica alleanza sovranista la possibilità di ottenere la maggioranza assoluta, sia nel Paese sia nel Parlamento. 30 più 15 fa 45. Aggiungi 5 ed arrivi a 50. Da qui il tentativo forsennato di tenere artificialmente diviso ciò che naturalmente, razionalmente e politicamente, dovrebbe invece essere portato ad incontrarsi.
Qualche settimana fa scrissi che la campagna elettorale, soprattutto nella sua drammatizzazione mediatica, ci avrebbe regalato uno spietato spettacolo pedagogico sul modello di quello offerto, qualche secolo fa, dalla Santa Inquisizione contro le eresie di quei tempi. Vi dissi che tra i sacerdoti e le sacerdotesse della Verità Rivelata si sarebbe scatenata una gara nazionale a chi, per primo, sarebbe riuscito a strappare a Salvini, Di Maio o Meloni una pubblica, e a quel punto definitiva, abiura sull'euro. E questo in effetti è quello che sta avvenendo.
Fateci caso. Non v'è intervista in cui non venga loro domandato, coi toni di un Amadeus alla domanda finale del telequiz, se “confermano di voler portare l'Italia fuori dall'euro”. Se poi l'inquisito non ritratta, la domanda viene riformulata con esasperata lentezza così da conferire all'esposizione di una semplice valutazione economica le cupe atmosfere di una confessione di blasfemia. Perché l'euro è una moneta giusta e priva di difetti ed il clero europeista chiede oggi di non rinnegare questa verità così come ieri si chiedeva di non rinnegare che fosse il sole a girare intorno alla terra.
Sul Movimento5Stelle, vuoi per le sue ambizioni di governo, vuoi per qualche titubanza sul tema, è stato esercitato un pressing asfissiante. Approfittando dell'errore di non avere attrezzato il Movimento di un responsabile economico, i talk show televisivi si stanno divertendo ad allestire dibattiti impari, nei quali parlamentari di secondo livello e dotati di competenze generiche vengono opposti a tecnici di caratura internazionale nel tentativo, abbastanza palese, di consegnare la pecorella al lupo. E di fargliela sbranare.
Mi duole ammettere che qualche volta ci sono riusciti. Ma devo anche aggiungere, da addetto ai lavori, che chi fa gareggiare un tennista e un calciatore su un campo da tennis sa di offrire una comoda vittoria al tennista e che gli basterebbe schierare un tennista no-euro contro un terzino del Celochiedeleuropa per ottenere un esito specularmente opposto. Qualcuno, dalle parti dei media, lo ha capito. Qualcun altro, dalle parti dei partiti, lo capirà a proprie spese in questa campagna elettorale.
Ma ovviamente non è solo sui CinqueStelle che la fratellanza europeista - questo impalpabile partito ombra che si scompone prima delle elezioni per ricomporsi subito dopo - si sta accanendo con grande energia. L'altro bersaglio, infatti, è la Lega di Matteo Salvini.
Mi ha abbastanza sorpreso, a questo proposito, l'intervista rilasciata al Corriere, lo scorso 2 gennaio, da Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo e designato da Berlusconi (insieme a un'altra mezza dozzina di nomi) quale possibile premier di un governo di centrodestra. Premetto che riconosco al presidente Tajani, la cui eccezionale carriera politica cominciò nelle fila del partito monarchico, la piena legittimità delle sue personali convinzioni europeiste. Se non altro ha smesso di rimpiangere Re, Regine e fregi nobiliari. Tuttavia trovo abbastanza sgradevole che un così alto rappresentante dell'istituzione europea approfitti del richiamo quirinalizio alle “politiche realistiche” per parlare in modo tanto paternalistico - quasi volesse proteggerlo da istinti primitivi - dell'alleato Salvini: “Mi pare che abbia ormai abbandonato l'idea di una ipotetica quanto irrealizzabile uscita dall'euro”. La grande preoccupazione di Tajani è infatti “l'avanzata del populismo che mette a rischio la stabilità del Paese...”.
Ebbene, io credo sia evidente che Salvini rappresenti agli occhi di tutti proprio quel che Tajani intende col termine, negativo, di populismo. E mi chiedo se Tajani abbia colto l'entità del problema politico che da iper-europeista si trova oggi ad affrontare, visto e considerato che due dei più illustri Re barbari d'Europa, l'austriaco Kurz e l'ungherese Orban, hanno in tasca una tessera del Ppe che, ohibo', è in tutto e per tutto uguale alla sua. Qualcuno in quel partito sembra di troppo.
Guardando meglio le cose, però, è evidente che questa attitudine a presentare l'alleato euro-critico come un “buon selvaggio” da rieducare sia un'evoluzione d'emergenza della disastrosa retorica dei barbari adottata fino all'altroieri. La nuova strategia è assorbire, concupire, offrire un posto a tavola; in modo da separare i potenziali interlocutori, contrapporli e nasconderne, persino ai loro stessi occhi, le comuni ragioni. Che poi sono ragioni così logiche e argomentabili che ai populisti basterebbe parlare ...con le parole altrui. Ad esempio con le parole degli Accreditati.
Ho già scritto dei sei premi Nobel che considerano l'euro una moneta sbagliata. In quell'articolo (http://www.interessenazionale.net/blog/leuro-e-follia-diceva-anche-draghi-dicono-tutti) vi avevo raccontato le argomentazioni di Milton Friedman, Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Amartya Sen, James Mirrlees e Christopher Pissarides. Per una mia colpevole lacuna non ero ancora al corrente del fatto che anche Sir Oliver Hart, ritirando il Nobel per l'Economia nel dicembre 2016, bocciò drasticamente l'esperimento della moneta unica: “L'euro – spiegò Hart a margine della cerimonia di premiazione di Stoccolma - è stato un errore e non sarei affatto triste se in futuro l'Europa se ne liberasse”. Il conto dei Nobel sale dunque a sette.
Se ricordate, poi, vi avevo anche raccontato delle critiche, tecnicamente del tutto analoghe, fatte all'euro da due ex governatori centrali come Mervyn King (Banca d'Inghilterra) e Antonio Fazio (Banca d'Italia) e da un economista di prestigio internazionale, nonché ex ministro dell'Industria, come Paolo Savona. Vi avevo segnalato poi la svolta, intellettualmente encomiabile, di Luigi Zingales e vi avevo persino documentato quel che il governatore Mario Draghi, quando si laureò con il massimo dei voti sotto la guida di Federico Caffé, pensava dell'ipotesi di dotare tutti i paesi europei della medesima moneta: “una follia, una cosa assolutamente da non fare”.
Dunque pensavo che difficilmente avrei potuto ancora sorprendervi, aggiornando la mia “lista dei vip” del no-euro con qualche nuova entrata degna di nota. E invece la scorsa settimana mi ha lasciato davvero di stucco un'intervista concessa al quotidiano La Stampa da Vincenzo Visco. L'ex ministro delle Finanze di Romano Prodi, oggi uscito dal Pd renziano per seguire Bersani, ha infatti completamente demolito la tradizionale narrazione di sinistra sull'euro. In primo luogo ammettendo che la moneta unica “funziona male”. Poi affermando che “la Germania continua a crescere a spese nostre perché c'è un marco svalutato che è l'euro”. Ed infine concludendo che, “per come si è venuta costruendo, la politica monetaria ed economica dell'Ue è autolesionistica: non funziona” o “funziona parzialmente solo per la Germania”.
Ce n'è abbastanza per dire che il muro di gomma si sta sciogliendo. Ed ecco perché i leader italiani dei cosiddetti partiti sovranisti o populisti non devono concedere alcuna abiura sul tema, anzi sul problema, dell'euro: perché la Storia sta riconoscendo le loro ragioni. Ma paradossalmente ora sono proprio sovranisti a doverle riconoscere. E a doversi riconoscere tra loro. Non per sfasciare tutto, ma per ricostruire. Co
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