È nota la vicenda biblica di Salomone e delle due madri (1RE 3,16-28). Al cospetto di due donne che rivendicano entrambe la maternità di un bambino, il re Salomone propone di dividere il bimbo in due, in modo da soddisfare entrambe mediante l’eguale affidamento di una metà della piccola creatura. Solo a quel punto si scopre chi delle due è la vera madre, colei che non permette che il figlio venga fatto a pezzi e accetta che sia affidato integralmente all’altra, quand’anche ciò le impedisca di rivederlo per il resto della sua vita.
La vicenda di Salomone mostra come il processo di filiazione non si esaurisca nella volontà egoistica di “avere” un bambino. Si regge, invece, sull’amore altruistico e gratuito per il figlio, amore che dell’egoismo narcisistico segna l’antitesi e che è, invece, coerente con la vita etica familiare. La nuova e dilagante figura del “diritto al bambino”, invece, sembra fatalmente obliare la dimensione dell’amore altruistico di tipo genitoriale: la sostituisce con l’egoistica volontà individuale di possesso, del tutto incurante della sorte del nascituro, concepito come proprietà disponibile e programmabile.
Il diritto del consumatore prevale, così, sul legame antiutilitaristico che si viene a instaurare, già nei nove mesi della gravidanza, tra un figlio e una madre. Si tratta di un legame che non è meramente biologico, ma che risulta anche psicologico: tecnicamente si definisce bonding e si presenta come un’esperienza contemporaneamente fisica, emozionale, ormonale e relazionale. Ed è, peraltro, la prova del fatto che il bambino non può essere considerato alla stregua di una cosa o di una merce temporalmente ospitata nel ventre della donna, esso stesso svilito al rango di un magazzino aziendale: al contrario, il bambino è un essere umano che sta in relazione simbiotica con la madre e che si costituisce mediante quella relazione, paradigma assoluto di una gratuità incondizionata e di una donatività generativa.
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