Nel dicembre dello scorso anno risultavano ufficialmente 132 i comuni italiani del cratere sismico – il più vasto che la nostra storia nazionale abbia mai conosciuto – interessati dal decreto legge a favore delle popolazioni terremotate del centro Italia, approvato dalla Camera nello stesso testo votato dal Senato: 14 in Abruzzo, 15 in Lazio ed altrettanti in Abruzzo, ben 88 nelle Marche. Erano già trascorsi alcuni mesi da quel terribile 24 agosto, quando una scossa di magnitudo 6.0, seguita poi da una serie di repliche di notevole intensità, ha raso al suolo interi centri abitati ed è costato troppo in termini di vite umane, 299 per la precisione.
Poco è cambiato però da allora: ad oggi, la ricostruzione procede molto a rilento, per non dire che, nella maggior parte dei casi, non è nemmeno iniziata. Colpa della burocrazia? Probabilmente sì, ma si ha come l’impressione che essa sia diventata protagonista inanimata di un ripetuto processo di “scaricabarile” di responsabilità tra amministrazioni pubbliche e private, associazioni, enti ed uffici preposti. Non a caso, infatti, il Commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani qualche mese fa parlava di «una gestione che riguarda la Protezione Civile e la Regione» riferendosi agli eccessivi ritardi nella consegna delle casette e delle stalle.
Perché – e non è da dimenticare – oltre al trauma del terremoto, con tutto ciò che ne è conseguito, le popolazioni del centro Italia hanno dovuto anche fare i conti con un inverno caratterizzato da settimane estremamente fredde, con l’emergenza neve che ha comportato grandissimi disagi. A febbraio, su 69 ricoveri per animali necessari, ne funzionavano 5: proviamo ad immaginare cosa voglia dire questo per gli allevatori degli entroterra già messi in ginocchio e pure costretti a vedere gli animali, unica fonte della loro economia di sussistenza, morire o andare dispersi. Le Soluzioni Abitative d’Emergenza (S.A.E.), le cosiddette “casette” che erano state promesse ai cittadini impossibilitati a rientrare nelle loro abitazioni danneggiate dal sisma, restano ad oggi un miraggio per molti: solo l’8% di quelle ordinate sono state consegnate. Di questa bassissima percentuale, ne risulta funzionante ed abitata poco più della metà.
A ciò, come se non bastasse, si sommano le difficoltà che stanno affrontando gli sfollati mandati in alberghi e villaggi turistici situati lungo la costa adriatica, costretti ad abbandonare le loro “sistemazioni di fortuna” con l’arrivo della stagione estiva. Va da sé, infatti, che i titolari delle strutture turistiche rivendichino il loro diritto a lavorare con il turismo stagionale italiano e straniero, tanto più se ancora non hanno visto un solo centesimo dei soldi dovuti loro dal Governo per l’ospitalità fornita nei mesi passati. Insomma, a quasi un anno dal sisma, la ripartenza sembra difficile e la strada da percorrere ancora lunga e tortuosa, quando – fuor di metafora – non bloccata del tutto dal 92% di macerie che restano ancora abbandonate per le vie dei comuni del centro Italia.
L’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a poche ore dalla prima, violentissima scossa, aveva dichiarato: «prendiamo l’impegno qui, oggi, da Palazzo Chigi, di non lasciare nessuno da solo: nessuna famiglia, nessun comune, nessuna frazione. E mettiamoci al lavoro».
Rileggendola adesso, quando però i riflettori puntati sulle popolazioni terremotate del centro Italia si sono ormai spenti e l’argomento non fa più tendenza tra politici e amministratori, questa esortazione sa ahimè tanto della ben nota “armiamoci e partite!”.
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