Temi dell'Agorà / Le parole della politica

Ci salvi la Costituzione!

pubblicato il 13 Febbraio 2018

In un tempo di crisi culturale, prima ancora che economica, a pagarne le spese sono soprattutto i giovani i quali sembrano condannati a vivere un eterno presente scandito prevalentemente dal consumo illimitato e da un anestetizzante divertissement. Sfiduciati, si astengono dal voto non credendo nella possibilità del cambiamento e non partecipano alla vita politica, in quanto privi di quel senso di appartenenza che è condizione prima di ogni dovere civico. Spinti ben presto alla competizione e allo sradicamento, difficilmente vengono educati al sentimento di solidarietà umana, né riescono a maturare una qualche visione del bene comune.

Prima ancora che un disagio psicologico, essi vivono dunque un disagio culturale che solo una seria rivisitazione dei modelli di riferimento della nostra cultura potrebbe colmare. Tra questi modelli, un punto di forza certamente è rappresentato dalla nostra Costituzione, che oggi possiamo a pieno titolo considerare l’ultimo baluardo dei principi democratici. Lo sapeva bene Piero Calamandrei il quale, all’indomani della seconda grande guerra, rivolse ai giovani un celebre discorso con l’intento di riaccendere nei loro animi la speranza nel futuro. Era il lontano 1955 e il padre dell’assemblea costituente parlava della Costituzione come via maestra e come vero antidoto contro l’apatia politica e l’indifferentismo che egli considerava “la malattia dei giovani”. In effetti basta dare uno sguardo alla Carta costituzionale per accorgersi che ogni sua parola è stata pensata per divenire azione e ogni suo articolo come un compito da assolvere responsabilmente.

Benché oggi il nemico – checché se ne dica - non sia più il fascismo, tuttavia è bene tener presente che nuove forme di totalitarismo stanno minacciando le nostre libertà fondamentali e determinando una progressiva rimozione dei diritti sociali. Alla dittatura del fascismo si è infatti sostituita la dittatura dei mercati che, subordinando la politica alla finanza, sta progressivamente svuotando la nostra democrazia costituzionale. Possiamo dire pertanto che la Costituzione costituisce, ancora oggi, il punto di riferimento a partire dal quale è possibile difendere le libertà fondamentali e organizzare la resistenza contro la nuova tirannide, quella del capitalismo finanziario.

Ma quanti hanno consapevolezza della crisi in atto della democrazia, se della Costituzione italiana si parla solo per apportarne modifiche e per abrogarne parti significative? Quanti hanno avuto modo di leggerla e comprenderla, se consideriamo che peraltro l’educazione civica è stata rimossa dai programmi scolastici?  Se è vero, come è vero, che la democrazia è un processo culturale cui si accede gradualmente, attraverso un’adeguata educazione, non dovremmo forse considerare lo studio della Costituzione parte integrante di ogni progetto formativo?  Certo il “no” degli italiani al referendum costituzionale è un chiaro segno del fatto che essi, malgrado tutto, hanno ben chiaro che toccare la Costituzione significa toccare diritti fondamentali e irrinunziabili. Questo è già tanto, ma non basta. Oggi occorre procedere oltre e riconoscere l’altissimo valore pedagogico per le nuove generazioni di quei principi costituzionali. Occorre capire che quando si parla di Costituzione non si parla di principi astratti, ma di norme che hanno una incidenza decisiva nella nostra realtà.

Gli esempi di tale incidenza potrebbero essere innumerevoli. Si pensi, ad esempio al nostro ingresso nell’Unione europea, quanti italiani sanno che la cessione di sovranità - di fatto attuata senza il consenso del popolo - ha costituito una grave violazione dell’art. 1 Cost. per il quale la sovranità appartiene al popolo e dell’art. 11 Cost. secondo cui le limitazioni di sovranità sono ammesse solo in una condizione di parità con gli altri Stati. E che dire dell’opera di corrosione svolta continuamente dal Governo nei confronti dell’organo legislativo che in primis dovrebbe rappresentare la sovranità popolare, ossia il Parlamento? Basterebbe leggere gli artt. 76 e77 Cost. per sapere che il Governo non può emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria, se non per un tempo limitato e in casi straordinari di necessità e di urgenza. E ancora, per legittimare il rifiuto della guerra basterebbe l’art. 11 Cost. per il quale “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e che pertanto non può che opporsi alle politiche interventiste. E ancora, in tema di vaccini obbligatori o di trattamento di fine vita, l’art. 32 Cost. che stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per legge e che in nessun caso è possibile violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Riguardo la tutela del lavoratore basti leggere l’art. 36 Cost. secondo cui “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa… ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”  Non occorre aggiungere altro, basta solo la lettura per comprendere quanto oggi ne siamo distanti. Infine, forse non tutti sanno che se non si fossero messe le mani pesantemente sulla nostra Costituzione, non avremmo mai conosciuto nessun fiscal compact e nessuna austerity. Infatti il famoso pareggio di bilancio tra spesa pubblica e gettito fiscale è stato possibile solo attraverso la modifica dell’art. 81 Cost. che lasciava libero il Governo di equilibrare le entrate e le spese del bilancio, in funzione dell’andamento del ciclo economico. Non tutti sanno che l’introduzione del pareggio di bilancio nella carta costituzionale - con la legge costituzionale 1/2012 - non sarà mai il bene né dell’Italia, né di nessun altro Paese al mondo, perché uno Stato che spende cento e preleva cento non immette nessuna ricchezza, ma porta progressivamente all’impoverimento automatico della società. È bene dunque che ci si renda conto che se vogliamo che nel nostro Paese siano ancora possibili politiche espansive e investimenti pubblici, capaci di rilanciare la crescita economica, è alla nostra Costituzione che dobbiamo guardare e tentare di ripristinarne la sua forza originaria. Solo guardando ad essa potremo riscattare un’Italia mortificata, costretta a comportarsi come un’azienda che deve fare i conti con una “spesa pubblica improduttiva”, anche quando sa bene che il suo fine non è il denaro, ma il benessere dei propri cittadini.

S. Corsello

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