Molto è stato scritto su Tommaso Campanella (Stilo, 1568 – Parigi, 1639) e sulla sua celebre utopia, La Città del Sole, scritta in carcere fra il 1601 e il 1602. Tuttavia, pochi sottolineano l’implicito impianto escatologico di tale utopia.
Secondo Campanella, la “renovazione del secolo” – menzionata nella Città del Sole – è vicina. L’imminente realizzazione di una repubblica universale e la successiva fine dei tempi sono dimostrate dal generale malcontento delle popolazioni, dal verificarsi di fenomeni naturali fuori dal comune e, in particolare, da numerose profezie, fra cui quelle dell’esegeta, teologo e filosofo calabrese Gioacchino da Fiore (Celico, ca. 1130 – Pietrafitta, 1202). Come Campanella, anche secondo Gioacchino, prima del Giudizio finale, vi sarà un’epoca di pacificazione universale e di assenza di male, che il primo chiama “secolo aureo”, il secondo “Età dello Spirito Santo”.
Tuttavia, Gioacchino non è l’unico riferimento di Campanella. Chi ne influenzò in maniera diretta il pensiero escatologico fu Francesco Pucci (Figline Valdarno, 1543 – Roma, 1597). Vittima dell’Inquisizione romana, Pucci fu condannato a morte per eresia e bruciato sul rogo a Campo de’ Fiori, tre anni prima di Giordano Bruno. Campanella conobbe Pucci in carcere e non stupisce il fatto che, nell’Informatione della religione christiana del 1579, Pucci esprima idee simili a Campanella (in particolare quella di un paradiso in terra che precede il Giudizio universale). Gioacchino, Pucci e Campanella sono tre esponenti di quella che potremmo chiamare – usando l’espressione di Ernst Bloch – una “corrente calda” della filosofia italiana, che lungi dall’accettare la realtà così com’è, si impegna a migliorarla.
Ognuno di questi tre filosofi vive in un’epoca di profonda crisi, ma le calamitates saeculi di cui parla Gioacchino, la “tenebrosa stagione” descritta da Pucci, così come il “secolo oscurato” di cui fa menzione Campanella non sono accettati arrendevolmente, ma affrontati nella speranza indefessa di un cambiamento.
Oggi, nella cosiddetta “epoca delle passioni tristi” e della “ragion cinica”, se una rinascita è possibile, lo sarà solo imitando l’esempio di uomini eccellenti, di cui la nostra tradizione filosofica è ricchissima. Per citare Machiavelli, “debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare: acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore”.
Da Machiavelli a Gramsci, dal Principe al “Moderno Principe”, il filo rosso che unisce i filosofi italiani del passato è chiaro. Per il futuro, l’auspicio è – ancora una volta – quello di un nuovo Rinascimento.
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