“Dopo un lungo periodo di ripiegamento, o quantomeno di stallo, sembra riaprirsi un tempo propizio per la filosofia italiana”. Sono parole di Roberto Esposito, tratte da uno dei libri più discussi degli ultimi anni: Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana (Einaudi, 2010). Di fronte all’ottimismo di Esposito, molti studiosi si sono chiesti se effettivamente una cultura filosofica come quella italiana – spesso più recettiva che produttiva – fosse davvero così rigogliosa e originale nell’odierno panorama intellettuale. Infatti, soltanto qualche decennio fa la filosofia italiana era percepita molto diversamente.
Norberto Bobbio, ad esempio, dava voce ai molti che – come lui – lamentavano le due facce opposte ma segretamente complementari del provincialismo tipicamente italiano (ovvero la chiusura nazionalistica da una parte e l’ingenua “esteromania” dall’altra). “Il fascismo ci aveva costretto all’astinenza – afferma Bobbio – ora rischiamo di morire d’indigestione”.
Non fu soltanto il famoso filosofo della politica ad esprimersi in questi termini. In quel periodo – erano gli anni Ottanta – non era raro sentire affermazioni di questo tipo. Da una parte si sottolineava – in maniera solo parzialmente corretta – la chiusura agli influssi culturali esteri durante il fascismo; dall’altra si lamentava la dipendenza della filosofia italiana da quella straniera nel secondo dopoguerra. Oggi la percezione che si ha della nostra cultura filosofica appare in parte mutata. Secondo Esposito, la filosofia italiana è viva e vegeta. Essa è un “pensiero vivente” ed è particolarmente apprezzata all’estero (soprattutto negli Stati Uniti).
Dunque, negli ultimi anni, per sottolineare il successo della filosofia italiana nei paesi anglofoni, si parla sempre più spesso di “Italian Theory” o “Italian Thought”. Tuttavia, l’attenzione negli USA per la filosofia europea del Novecento non è dovuta soltanto alla recente diffusione di quella italiana. Prima di interessarsi al nostro pensiero filosofico, gli americani hanno guardato a quello tedesco e francese.
La stessa denominazione di “Italian Thought” ricalca quella di “German Philosophy” – usata in riferimento all’emigrazione americana di intellettuali come Adorno, Horkheimer e Marcuse in epoca nazista – e di “French Theory” – che indica il boom della filosofia francese a partire da una conferenza del 1966 a cui partecipò Derrida presso la John Hopkins University.
Oggi, ironia vuole che, mentre la cultura filosofica americana più aggiornata parla italiano, quella italiana – nonostante l’ottimismo di Esposito – continua ad esprimersi spesso in inglese. D’altronde nemo propheta in patria sua.
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