Quando si parla di “Interesse” la prima cosa che viene in mente oggi è un concetto che sta al centro dell’economia finanziaria e che è sinonimo di profitto, come i tassi di interesse, il costo del denaro e l’aumento di capitale. Tuttavia basta una breve riflessione etimologica, per capire che la parola “interesse” non nasce con questa accezione e che anzi, nel suo etimo risuonano immagini ben lontane e distinte da quelle del linguaggio finanziario oggi imperante.
La parola latina inter-esse, significa letteralmente “essere tra”, “essere in mezzo”, ossia partecipare. Si tratta di una delle rare parole capace di sintetizzare in sé sia l’essere che la relazione, in quanto racchiude al suo interno la dimensione relazionale come dato ontologico costitutivo. A differenza dunque di quanto si è comunemente portati a credere e cioè che sia impossibile dire dell’interesse prescindendo da ciò che è oggetto di interesse - ossia dalla cosa per o a cui si è “interessati” - l’etimologia della parola sposta l’indagine da ciò che costituisce l’oggetto di interesse al soggetto significante l’interesse. La parola interesse fa dunque riferimento in primo luogo alla natura relazionale dell’uomo di matrice aristotelica ed è capace di parlarci ancora oggi di quel zoòn politikòn che solo nella dimensione relazionale e partecipativa si riconosce come essere umano. L’interesse sarà dunque innanzitutto nella relazione con l’altro, nella partecipazione alla vita politica e in generale in ogni modalità e contesto in cui potrà dispiegarsi l’attitudine propriamente umana a lasciarsi coinvolgere dal mondo circostante.
Se è così, l’interesse non potrà in alcun modo essere confinato nella dimensione materiale dell’utile, ma in esso dovrà individuarsi ogni cosa capace di contribuire al ben-essere della persona umana, ossia alla sua realizzazione come essere armonico ed unitario: dal soddisfacimento dei bisogni primari a quelli spirituali, morali, scientifici, culturali. Non a caso il nostro ordinamento giuridico vede nell’interesse un prius, ossia un dato preesistente rispetto al diritto e ciò nella misura in cui definisce l’interesse legittimo come mero riconoscimento di ciò che della realtà umana è meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
A differenza dunque di quanto oggi siamo portati a credere, nel concetto di interesse è possibile rinvenire, prima ancora che un principio di economia finanziaria, il dato ontologico di un essere umano capace di convenire naturaliter con i suoi simili e di vivere all’insegna di una condivisione positiva che si realizza ogni qualvolta egli si sperimenti nella sua capacità di “mettere insieme” e di realizzando in tal modo la sua innata istanza partecipativa.
Potremmo ora provare ad individuare brevemente le ricadute di queste riflessioni riguardo il tema centrale di questa rivista, ossia l’interesse nazionale. Se infatti è vero quanto detto e cioè che interesse è innanzitutto partecipazione, è possibile pensare ad uno Stato che come fine abbia la sicurezza, prescindendo dal fine della libertà? Sembrerebbe di no. Infatti, a ben vedere, non sembra che uno Stato che voglia veramente misurarsi con la dimensione dell’interesse, possa prescindere dalla creazione delle condizioni atte a favorire la partecipazione e dunque le condizioni più idonee all’esercizio dei diritti e delle libertà positive dei cittadini che vivono al suo interno.
E ancora, potremmo chiederci se sia lecito, quanto oggi da più parti si afferma riguardo la necessità di considerare illegittima ogni istanza di interesse nazionale, per dare spazio ad una Unione europea, intesa come unica strada percorribile in vista della sicurezza e della pace. Se cioè, la sempre più pressante richiesta di cessione incondizionata di sovranità - motivata dalla costante minaccia di guerre sempre prossime - sia davvero la sola via per una pace duratura o se invece, anche nelle relazioni tra Stati, il fine della sicurezza vada sempre contemperato con il fine della libertà. La ridefinizione del concetto di interesse che abbiamo proposto, porterebbe infatti ad una diversa visione, per la quale una Federazione di Stati presupporrebbe innanzitutto una pluralità di Stati liberi di costruire relazioni tra di essi, fuori da logiche egemoniche e da sudditanze predefinite. Ben lungi dall’essere rimosso, l’interesse nazionale diverrebbe infatti il fondamento di relazioni inter-pares tra Stati sovrani, capaci di procedere insieme verso una vera integrazione e di condividere ciò che sono, piuttosto che ciò che temono.
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