L’ho scritto mille volte, ma repetita iuvant. In un regime di cambi fissi (l’euro), per poter essere competitivi, non potendo più intervenire sul cambio (svalutazione della moneta) si interviene sul lavoro, cioè si provvede a ridurre i salari e a contrarre le garanzie contrattuali e di legge in favore del lavoratore (svalutazione del lavoro).
L’Italia, a differenza della Germania (che sono i due principali Paesi esportatori dell’intera eurozona) non si era ancora completamente adeguata. Ma non appena Matteo Renzi (Pd) è stato nominato Presidente del Consiglio dei ministri ha fatto approvare dal Parlamento nel giro di pochi mesi il famigerato Jobs Act, cioè quella riforma strutturale del mercato del lavoro che ha reso la tutela reale (cioè il reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato) una mera ipotesi residuale. La promessa del novello nastro nascente del Pd fu quella che la nuova tipologia di contratto a tempo indeterminato avrebbe sostituito tutti i precedenti contratti a termine, ma così non è stato: il contratto a tempo indeterminato ha perso la tutela reale (compreso lo smantellamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) e i contratti a termine sono rimasti tali.
Oggi, a distanza di circa tre anni dall’entrata in vigore dei primi decreti attuativi del Jobs Act (Legge n. 183/2014), a fronte di un aumento del numero dei contratti – si fa per dire – “a tempo indeterminato” (la maggior parte sono trasformazioni di precedenti rapporti lavorativi), la stabilità del rapporto di lavoro non esiste più. La precarietà dilaga e con essa la guerra tra poveri.
Ma il vero obiettivo di Renzi e di tutto il Partito democratico è stato raggiunto: far leva sulla svalutazione del lavoro allo scopo di tornare ad essere competitivi (cioè ad esportare di più).
Cercherò di essere più chiaro. Il Pil e l’occupazione si misurano attraverso la formula keynesiana della Domanda Aggregata, vale a dire C+I+G+(EX-IM) [consumi privati + investimenti privati + spesa governativa + saldo commerciale netto, cioè le esportazioni superiori alle importazioni]. All’interno dei parametri forcaioli imposti dai Trattati europei (come ad esempio il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, divenuto ormai ZERO per via dell’obbligo del pareggio di bilancio), e in assenza di sovranità monetaria, la componente G (spesa pubblica) è ormai una leva poco utilizzabile, quindi si punta ad aumentare le esportazioni. Come si fa ad aumentare l’export? Facile: si abbassano i prezzi delle merci da esportare. Bene. Se uno Stato gode di sovranità monetaria fa leva sul cambio (cioè svaluta la moneta) e i prezzi dei prodotti d’esportazione si abbassano. In un regime di cambi fissi, invece, la riduzione dei prezzi può avvenire soltanto riducendo i salari e ridimensionando le tutele contrattuali e di legge in favore dei lavoratori, esattamente ciò che ha fatto il Jobs Act.
Per far digerire un tale crimine (perché di crimine si tratta) si è utilizzata la lingua inglese (Jobs Act), in modo che il popolo non capisse nulla. Con la scusa della “modernizzazione del Paese” e del dover essere in grado di rispondere adeguatamente alle “sfide del futuro”, Pd e sodali hanno distrutto centoventi anni di lotte e conquiste sociali. Ma non è un caso, è l’euro che chiama lo smantellamento dei diritti sociali. Restare nella gabbia della moneta unica condurrà il Paese allo smantellamento pressoché totale di tutti i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, costati Secoli di lotte e sofferenze. E quando vi parlano di “riforma strutturali”, sappiate che di questo si tratta.
Ma v’è di più. Durante i sedici mesi del governo Monti fu approvata una prima riforma del mercato del lavoro (riforma Fornero, Legge n. 92/2012) che dava avvio a quello che due anni e mezzo più tardi sarebbe stato il Jobs Act. Ma la riforma Fornero non si dimostrò sufficiente, tant’è che il governo Monti – su stessa ammissione dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti -, allo scopo di riequilibrare il saldo commerciale (attraverso una diminuzione delle importazioni) utilizzò le leve del consolidamento fiscale e della contrazione della domanda interna. In parole povere aumentò le tasse (vedesi Imu), inasprì i sistemi di accertamento fiscale (invertendo finanche l’onere della prova) e abbassò a mille euro il limite di utilizzo del denaro contante. La cosiddetta cura da cavallo tanto sponsorizzata dai media di regime. In quel modo Monti riuscì a contrarre la domanda interna (cioè i consumi dei cittadini) e di conseguenza a diminuire le importazioni.
Non so voi, ma io tutto questo lo chiamo CRIMINE.
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