“Quando un popolo non è libero o non è costituito a nazione, a che possono valere la filosofia e i filosofi per acquistare la libertà e la nazionalità”?
In piena epoca risorgimentale, è questa la domanda fondamentale a cui tenta di rispondere Bertrando Spaventa (Bomba, 1817 – Napoli, 1883), il maggiore esponente dell’hegelismo napoletano. La sua filosofia, ingiustamente dimenticata già alla fine dell’Ottocento, fu riportata in auge nel Novecento da Giovanni Gentile che curò la pubblicazione di numerose opere spaventiane, la più nota delle quali è senza dubbio la Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre – 23 dicembre 1861 (Vitale, Napoli 1862).
In questa opera – ristampata da Gentile con il titolo più noto di La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (Laterza, Bari 1908) – è contenuta la celebre teoria della circolazione europea del pensiero italiano. Secondo tale teoria, il grande merito della filosofia italiana rinascimentale fu quello di aver precorso i più importanti pensatori europei. In particolare, Campanella è presentato come il precorritore del cogito di Cartesio, Bruno come l’anticipatore del panteismo di Spinoza e Vico come “il vero precursore di tutta l’Alemagna”. La filosofia – nata in Italia e sviluppatasi all’estero – ritorna poi nella Penisola con Galluppi, Rosmini e Gioberti, i quali raggiungono il livello speculativo della filosofia tedesca da Kant ad Hegel.
Secondo Spaventa, Rosmini è il Kant italiano, mentre Gioberti è l’Hegel italiano. L’intento della teoria spaventiana – qui esposta in breve – non era soltanto quello di importare la filosofia hegeliana in Italia, ma di far capire agli italiani “che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere”. Quella di Spaventa non fu soltanto una teoria storiografica, ma la volontà di incidere attivamente sul processo di risorgimento nazionale, muovendo da una convinzione fondamentale: “io credo, quanti altri mai, nella potenza degli archibugi, del cannone e della mitraglia [...]. Ma non perché le armi sono necessarie e potentissime, è da affermare che le idee siano affatto inefficaci ed oziose. Se le braccia sono qualche cosa in una rivoluzione nazionale, lo spirito e la mente non sono certo una inezia”.
Secondo Spaventa, alla forza delle armi occorre affiancare la potenza della filosofia, la quale – per rispondere alla domanda dalla quale siamo partiti – “in un popolo che non è libero ed indipendente […] può giovare all’acquisto della nazionalità e della libertà”.
A duecento anni dalla nascita di Spaventa, ecco il suo messaggio-monito da non dimenticare: senza filosofia non è possibile società libera.
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