Temi dell'Agorà / Le parole della politica

NAZIONE

pubblicato il 21 Giugno 2017

Non è facile parlare di Nazione in un tempo in cui la retorica dominante continua incessantemente a ripeterci che le Nazioni non esistono, che sono solo un’invenzione, in un tempo in cui l’esigenza dominante sembra sia quella dell’organizzazione politica dei grandi continenti e in cui l’interesse economico-finanziario mira ad assecondare in ogni modo le logiche di una globalizzazione che, costi quel che costi, deve comunque andare bene per tutti. Non è facile, soprattutto se il messaggio dominante, diffuso a reti unificate, è sempre lo stesso e cioè che alla nascita di una Federazioni di Stati debba corrispondere necessariamente la fine degli Stati sovrani nazionali.

Tuttavia, dal momento che oggi primo compito di un’operazione culturale non può che essere quello di partire dalla riappropriazione dei concetti, in primo luogo occorre chiedersi cosa sia una Nazione. Basta consultare un dizionario enciclopedico per comprendere che ciò che definisce una Nazione è innanzitutto un insieme di persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica.

Nazione è dunque un concetto che ha a che fare, prima ancora che con le istituzioni politiche, con un insieme di individui accomunati da fattori in parte naturali, in parte culturali, che determinano il senso di appartenenza ad una comunità. In questo quadro, lo Stato si configurerà allora, per dirla con Hegel, come il momento più alto dell’eticità, in quanto ad esso spetta creare le condizioni atte a garantire il pieno sviluppo di individui che sono liberi e solidali, in quanto si riconoscono come appartenenti alla propria comunità.

La comunità si pone dunque come fine ultimo e fondamento dell’agire di uno Stato che nel principio di legittimazione, ossia sul consenso, trova il fondamento dell’obbligo politico. A differenza di quanto oggi viene strumentalmente affermato, il principio nazionale pone dunque il principio della sovranità popolare a fondamento dello Stato e, come tale, si oppone ad ogni concezione autoritaria ed assolutistica dello Stato. Così come la società civile e dunque il consenso, si pongono a fondamento dell’obbligo politico, il principio di autodeterminazione dei popoli si pone a fondamento delle relazioni internazionali. L’autodeterminazione è infatti quel principio in base al quale gli Stati della Comunità internazionale sono obbligati a non impedire o a non intralciare la libertà dei popoli di autodeterminare il proprio assetto costituzionale.

Pensare pertanto che gli Stati-nazione siano un anacronistico retaggio dell’ostilità alla democrazia non solo è un dato storicamente falso, ma oggi è anche un grave errore. Alla base dell’idea di Nazione infatti troviamo l’espressione del principio democratico di Rousseau, il quale sostenne che lo Stato appartiene al popolo, inteso come una pluralità di cittadini e non di sudditi. Principio democratico, quello della sovranità popolare che ispirò la Rivoluzione francese contro i privilegi del re e della aristocrazia. Questi privilegi oggi, purtroppo, sembrano tornati da quel lontano passato, attraverso la gestione elitaria che si pone a detrimento dei beni collettivi e che propugna l’impossibilità delle decisioni democratiche di opporsi ai Trattati internazionali.

In nome dell’internazionalizzazione, stiamo assistendo infatti alla demolizione di ogni istanza democratica e alla conseguente rimozione dal nostro vocabolario politico di ogni traccia del principio di sovranità popolare e del principio di autodeterminazione dei popoli.  Basti pensare a quanto affermato ultimamente dal Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, in merito ad una presunta impossibilità delle decisioni democratiche di opporsi ai trattati europei. Per quanto poi riguarda il diritto all'autodeterminazione dei popoli, occorre purtroppo rilevare che questo sia stato di fatto svuotato del suo contenuto, dal momento che nessuna norma giuridica internazionale prevede la definizione di popolo come soggetto distinto dallo Stato e che dunque non sia possibile riconoscere in alcun modo, ai popoli una loro soggettività giuridica internazionale.

Un altro argomento degno di nota contro l’idea di Nazione è quello che vede nel nazionalismo una inevitabile degenerazione del principio nazionale. L’argomento a sostegno di questa tesi sarebbe quello secondo cui ogni Stato-nazione, avendo come suo fine prioritario la sicurezza dei suoi confini, sarebbe per ciò stesso determinato a strutturare rapporti con gli altri Stati in funzione prevalentemente difensiva e dunque sulla base dei puri rapporti di forza. Le Nazioni in quanto tali, sarebbero cioè di per sé determinanti di un potenziale di guerra, simile allo stato di natura hobbesiano.

Ma è proprio vero che lo Stato sovrano sia, in quanto tale, autoritario e che l’unica alternativa alla degenerazione nazionalistica sia quella della desovranizzazione? Basta uno sguardo indietro nel tempo, per vedere come lo Stato sovrano nazionale del ‘900 non sia stato soltanto lo scenario dei nazionalismi imperialisti, ma anche e soprattutto il luogo delle acquisizioni welfaristiche, del riconoscimento dei diritti sociali e delle identità dei popoli. Riguardo poi le relazioni internazionali tra Stati sovrani in vista una Federazione, appare ancora ad oggi utile la lettura di alcuni passaggi de La Pace perpetua, in cui I. Kant afferma che: “L’idea del diritto internazionale presuppone la separazione di molti Stati vicini indipendenti l’uno dall’altro e benché una tale condizione sia già uno stato di guerra (se una loro unione federativa non previene lo scoppio delle ostilità), eppure questa stessa condizione, per l’idea della ragione, è meglio della loro fusione operata da una potenza che sovrasti le altre…”. Badiamo bene, Kant ci dice che per quanto si possa pensare che la separazione di Stati vicini indipendenti sia uno stato di guerra potenziale, tuttavia questa condizione è in ogni caso da preferire ad una fusione forzata operata da una potenza finanziaria capace di imporre un “sistema di debiti crescenti all’infinito”. Non credo ci sia altro da aggiungere.

S. Corsello
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