Temi dell'Agorà / Nazionalpopolarte

Oggi soltanto illusioni pareidolitiche artificiali. Serve una nuova e necessaria visione umanistica/naturalistica.

pubblicato il 27 Agosto 2018

Giornata calda e secca: arida, un empireo terso: limpido. In lontananza qualche nuvola bianca svanisce nella lontana estremità, nel luogo in cui combaciano perfettamente terra e cielo. Finitudine. Nel tempo fluente/corrente il volo delicato e silenzioso delle farfalle. Chimica. Nello stesso istante l’atto stridulo persistente/quotidiano/rumoroso delle cicale. Frinire. Entrambi piccoli gesti d’amore. Impulsi/sentimenti complessi da comprendere, forse proprio perché disinteressati: indifferenti alle logiche infeconde, avare e sempre più egoistiche umane.

Questo cicalare dolce/diurno – come corifei intransigenti sotto un Sole cocente e disperato – ispira un senso di pace interna: una consapevolezza consueta mai ordinaria, come rami di ginepro sospinti dal vento o come una masnada di piccoli ragni che intessono/intrecciano, con le loro minutissime ghiandole della seta, le loro lucentissime tele.

Poi la danza costante e continua delle api, dell’apis mellifera, accanto al proprio alveare e lungo il medesimo angolo, al fine di orientare le altre verso nuove fragranze, verso la parte migliore dei fiori; tutto questo anche quando il Sole e il Cielo alto sono ricoperti di nuvole – celati – e nella bassa/bassissima troposfera il balsamo amabile delle corolle.

Tutto/Totus – nello spazio del mondo non antropizzato e al di fuori del nostro universo mentale – ha un suo costante equilibrio – necessario – affinché l’insieme possa generare, sempre, azioni – praxis – buone; perciò solo nel perseguimento dell’equilibrio della propria anima e in quello psico-fisico potremmo ritrovare la nostra sublimità. Il nostro carme intimo, il nostro canto profondo.

Al contrario, nello spazio comune antropico le disarmonie soffocano regolarmente le altre realtà/oggettività migliori, mentre le radici di questo disarmonico conflitto – difficili da sradicare, poiché non più pensate/considerate – dovrebbero esser sempre ricercate in noi stessi, ininterrottamente.

Come potremmo creare qualcosa di sublime, di eccelso se l’instabilità prevale – quotidianamente/incessantemente – nel nostro profondo intimo?

Il disequilibrio interno – questa discrasia tremenda: quasi mortifera – si riverbera nel mondo esterno attraverso le nostre malfatte oggettivazioni giornaliere: le nostre creazioni, generando un mondo falso, deforme e sgraziato.

Intorno: architetture moderne/post-moderne/contemporanee/post-contemporanee, senza un frammento d’anima, senza amore e con vuoti sentimenti; brutture cittadine presenti ovunque, lungo ogni circonvoluzione oculare d’orizzonte.

Ovunque: cementificazioni-costanti/speculazioni/speculatori/usure/usurai/banchieri-usurai/sinistre-privatizzazioni/daneistocratici/politici molto abili per infide liberalizzazioni democratiche. Meccanica destrorsa-sinistrorsa: potere sotterraneo quotidiano corrotto.

Perché non dovremmo desiderare – simultaneamente – il meglio per il nostro Io singolo e per l’insieme collettivo? Certamente non quei “desideri” unicamente consumistici, ma solo quelli realmente liberati dalle banali logiche terrene: consumistiche/economicistiche. Come consuete azioni tristi. Linfatiche.

Perché dovremmo vivere all’interno di spazi sempre più miseri/privi di senso naturale/d’humus, di un originario e intrinseco valore primitivo?

Dall’alto: asfalti caldi e soffocanti rivestono il nostro quotidiano cammino, verso altrettanti luoghi mancanti di vita: terre infette da sostanze nocive, insistenti via vai d’automobili. Più avanti motocicli, aerei, benzina, petrolio, essenze perniciose, industrie, navi, barche, piombo, plastica, plastiche, alluminio, hascisc, discariche fosfogessi radioattivi, concimi chimici, fumi, fiumi e oceani inquinati/infettati, scarichi fognari, atmosfere velenose, cieli notturni-al-led, stelle-al-led, denaro corrotto, degrado ambientale, degrado intimo: etico e morale.

Pertanto le nostre interne deformità, i nostri schifi e le nostre lordure – in questo tempo – si riproducono ininterrottamente/esternamente danneggiando le vite altrui, costantemente e senza nessun rimorso/rimpianto. La nostra natura diviene sempre più competitiva e perennemente concorrenziale; distaccati dal “tutto” siamo solo individui isolati/solitari: atomi, creature in competizione e in lotta perenne con il restante “mondo individuale”.

Così l’idea scientifica della specializzazione sempre più specialistica  – della ultra-frammentazione – ha investito gran parte del mondo delle arti, rendendole sempre più sterili e sempre più carenti di presupposti validi/essenziali, quelle che al contrario dovrebbero liberare l’uomo da queste catene; qui i lacerti – conclusione di una visione storica e assoluta – della musica, della poesia e dell’arte visiva, assoggettate al mondo individualistico/scientifico/consumistico contemporaneo, non posseggono, il più delle volte nel nostro tempo, quel forte impulso semplice/passionale: oggigiorno, ahimè più interessato, più ammaliato alle quotidiane dialettiche rigorose e mortifere del “grano e della pecunia”.

Il poeta inglese John Keats affermò: ”se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono a un albero, è meglio che non venga per niente[1]. (nota: 1: citazione tratta dalla lettera inviata da John Keats all’amico scrittore John Taylor nel 1818; John Keats, Lettere sulla poesia, edito Feltrinelli)

J. Òre

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