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Perché la scuola è sempre più al servizio del mercato? Un po’ di storia.. (parte prima)

pubblicato il 08 Settembre 2017

Buona Scuola (cioè: Cattiva Aziendalizzazione della stessa), preside-dominus, erosione effettiva e/o simbolica dei contenuti, dei valori disciplinari e della “fatica del concetto” (Hegel), pensiero computazionale, svuotamento di potere degli organi collegiali, enfasi sull’alternanza scuola-lavoro (e il diritto allo studio?), decurtazione (in fieri) di un anno del percorso formativo liceale, tagli continui ai fondi d’istituto e all’istruzione tutta, contributi volontari (ma sottilmente coatti) dei genitori, spirale tecnocratica sempre più opprimente, processi privatizzanti del pubblico etc etc.

Potremmo continuare: si tratta di una sistematica decostruzione–distruzione dell’istruzione pubblica, che andrebbe sì profondamente riformata, ma non deformata o demolita. Il problema è che per lo più non riusciamo a vedere come questi provvedimenti (e tanti altri già prima) rispondano ad una logica comune: cioè ad una economicizzazione neoliberista della scuola pubblica (e del mondo tutto).

Del resto per il neoliberismo “lo scambio di mercato è un’etica in sé, capace di fungere da guida di tutte le azioni umane e di sostituire tutte le convinzioni etiche coltivate in precedenza” (Treanor) Si tratta quindi di una reductio ad mercaturam aggressiva e onnipervadente.

Di facciata un nuovo monoteismo, nella sostanza un nichilismo ora morbido ora terribilmente acido. Tutto questo ha una storia. Non a caso Magaret Thatcher, in una intervista al Sunday Times del 1981, dichiarava: “Economics are the method; the object is to change the heart and soul”. Ecco una sintesi ad effetto del progetto neoliberista: “L'economia è il metodo; l'oggetto è cambiare il cuore e l'anima”.

Come ricordavamo già negli articoli precedenti, il dominio oggi è anche psicopolitico, neuronale, cellulare, animico. Ma ancora, per l’antropologo e geografo David Harvey, “il biennio tra il 1978 e il 1980 è un punto di svolta rivoluzionario della storia sociale ed economica del mondo”: nel 1978 Teng Hsiao-ping trasforma la Cina in un ircocervo capitalista; nel ’79 è eletta appunto Margaret Thatcher in Gran Bretagna e nell’80 è la volta di Ronald Reagan presidente degli Stati Uniti.

Del resto il neoliberismo trionfa già a partire da tutti gli anni ’70 nelle teorie e nelle pratiche di politica economica. Chi scrive non crede nella “fiaba”, pur se sostenuta da numerosi interpreti, di un capitalismo buono, poi pervertitosi. Il capitalismo nasce, come si dice in Sud America per lunga e vessante esperienza, “senza cuore”. Un predatore è un predatore e non lo diventa. Non c’è dubbio però che la versione neoliberista sia, del capitalismo, la declinazione più brutale, più antropologicamente povera e tristemente sintetica.

Fare un po’ di storia – e questi sono solo piccoli cenni, naturalmente, dato lo spazio ridotto a disposizione – è uno dei modi per comprendere e resistere. Le politiche economiche di questi decenni hanno anche sistematicamente lavorato per produrre e diffondere un’“amnesia totale” (Giroux). Se la scuola diventa sempre più a traino del “ragion di mercatura” non è allora un caso, una necessità, e men che meno una evoluzione o una riforma che punti al miglioramento (della scuola e, figurarsi, delle coscienze).

Dobbiamo diventare consapevoli che anche i nostri cervelli e i nostri cuori sono invasi e colonizzati. La liberazione deve essere dentro e fuori, interiore e politica. Non l’una senza l’altra. Pena il fallimento della liberazione stessa.

G. Vacchelli
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