L’intuizione che ognuno di noi ha, quando parla di azioni e comportamenti, è che siamo liberi di fare ciò che scegliamo di fare. Se decido di mangiare una fetta di torta, sono libero di compiere quell’azione perché ho deciso di mangiare quella stessa fetta di torta. Questa posizione viene comunemente indicata con il termine “libertaria”, in quanto ci dice che ciascuno possiede libero arbitrio e la capacità effettiva di scegliere come agire o come comportarsi in una data situazione. Questa è tuttavia un’intuizione preteorica, senza addentrarsi nelle reali implicazioni che si presentano quando compiamo un’azione. Infatti, molto spesso non consideriamo che dietro una scelta che all’apparenza risulta essere libera e decisa da noi in persona, ci sta una serie di condizionamenti di natura psicologica, sociale, culturale, legata alle nostre esperienze passate. Tornando all’esempio della fetta di torta, quando scelgo di mangiarla posso essere condizionato (senza tuttavia accorgermene) da fattori precedenti alla mia scelta: posso ad esempio essere stato abituato a mangiare quella precisa fetta di torta, oppure posso essere stato influenzato dai colori o dal modo di presentazione di quell’oggetto (“Provala, non te ne pentirai”). È evidente che parlare di libertà in senso pieno in questo caso è parecchio avventato, se non del tutto sbagliato. Chi accetta che in ogni nostra scelta ci sia una forma di determinazione precedente alla nostra scelta, che ci condiziona e che determina l’esito della nostra scelta, viene definito “determinista”. Chi accetta questa posizione non può trovare una compatibilità tra una determinazione generale delle nostre azioni e la presenza del libero arbitrio, in quanto ogni nostra scelta dipende da cause esterne alla nostra reale possibilità di azione. A tal proposito è corretto citare un libro uscito nel 1983 a cura di Peter Van Inwagen, “An essay on free will”, ossia “Un saggio sul libero arbitrio”. Al suo interno l’autore fa riferimento ad un potente argomento che viene utilizzato per mostrare che il determinismo è vero: il suo nome è “Consequence argument”. Perché si chiama “Argomento della conseguenza”? Perché esso vuole mostrare che le nostre scelte sono in realtà l’esito, la conseguenza di fattori che non dipendono in alcun modo dalla nostra volontà che le cose vadano in quel modo specifico. L’argomento prende una forma di questo tipo: dal momento che nessuno di noi può intervenire sulle leggi di natura (come quelle fisiche) né sul passato e dal momento che questi due fattori determinano (o quantomeno condizionano) le nostre azioni attuali, nessuno di noi ha mai potuto fare niente a riguardo e non ha la reale possibilità di cambiare come stanno le cose nel presente. Da ciò segue che non abbiamo nessuna forma di libera determinazione, di scelta o di effettiva possibilità di direzionare le nostre azioni concrete. Noi non saremmo altro che l’insieme di leggi fisiche, psicologiche e biologiche che sono determinate prima della nostra nascita e prima che possiamo deliberare su qualunque cosa.
Esiste tuttavia una via mediana tra la posizione libertaria presentata all’inizio e il rigido determinismo di Van Inwagen, vale a dire la posizione comunemente definita “compatibilismo”. Che cosa asserisce questa posizione? Che ognuno di noi non può cambiare l’esito di una determinata azione, ma si può scegliere il modo in cui quella data azione verrà compiuta, riconoscendo dunque alla nostra volontà un ruolo attivo e non meramente legato a leggi deterministiche. Ad esempio, se mi trovo in piscina su un trampolino, secondo il compatibilista è inevitabile che mi tufferò/che non mi tufferò/che succeda quel che deve succedere. Posso tuttavia scegliere il modo in cui quell’azione assumerà quel determinato esito, il che garantisce una minima capacità di “agent causation” (per usare il termine individuato da Robert Taylor e Roderick Chisholm), ossia di “causazione agentiva” da parte di chi compie l’azione. Quindi, la mia azione è già determinata dal passato e dalle leggi deterministiche (fisiche, biologiche eccetera) ma posso scegliere come giungerò a quell’esito finale. In questo senso, libero arbitrio e determinismo sono compatibili tra di loro.
Il dibattito è ad oggi ancora aperto, in particolar modo per la diffusione di posizioni indeterministiche (che negano che il determinismo sia vero, dicendo invece che non possiamo scegliere liberamente le nostre azioni, se volessimo stringere) legate alla meccanica quantistica, che fanno appello al principio di indeterminazione di Heisenberg e, ad esempio, al dualismo onda-particella. È chiaro che una risposta unanime non arriverà in tempi brevi e che capire quale sia la nostra reale capacità di scegliere è una questione ardua e molto complessa.
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