Ho conosciuto il pittore Claudio Olivieri nel maggio del 2010, anche se, per dir la verità, già dai tempi del liceo vidi stampate per la prima volta, sui libri di storia dell’arte, le immagini delle sue opere: quell’attimo visivo per me fu come un’illuminazione. Avevo da poco cambiato casa e per uno strano gioco del destino lo incontrai, di persona, sedici anni dopo, insieme a un amico pittore, – grazie al proprietario dell’appartamento – lì, nel suo luminosissimo grande studio, all’interno di un modesto cortile in via Carlo d’Adda a Milano: una via situata in una delle vecchie aree quartierali adiacenti al canale, denominato alzàia, del Naviglio Grande. In quel periodo lui aveva settantasei anni e io trentadue.