Temi dell'Agorà / Nazionalpopolarte

La “terza pagina”: arte e cultura.

Sboccia!

Un’ombra: un gesuitico ragionamento nuovo: un preciso ordine iconoclasta: un taglio di luce immane. Ah, complesso prodotto di forma: sacra/multiforme/austera!

Bianca Bi: una giovane poetessa italiana

di Jean Òre
pubblicato il 07 Marzo 2019

“Possono il linguaggio, la parola, la poesia e l’arte essere ridotti ad un semplice prodotto commerciale? Questa è la domanda che (mi) ci affligge; o meglio, ad affliggere è la risposta, che risuona beffardamente affermativa. Attualmente si assiste alla parata ben orchestrata del potere degli epigoni, contemporaneamente a una paralisi intellettuale estremamente evidente

Giornata calda e secca: arida, un empireo terso: limpido. In lontananza qualche nuvola bianca svanisce nella lontana estremità, nel luogo in cui combaciano perfettamente terra e cielo. Finitudine. Nel tempo fluente/corrente il volo delicato e silenzioso delle farfalle. Chimica. Nello stesso istante l’atto stridulo persistente/quotidiano/rumoroso delle cicale. Frinire. Entrambi piccoli gesti d’amore. Impulsi/sentimenti complessi da comprendere, forse proprio perché disinteressati: indifferenti alle logiche infeconde, avare e sempre più egoistiche umane

Senza tregua e con ostinata e naturale caparbietà mi chiedo la ragione e l’origine di queste repentine mutazioni sociali: modifiche tecno-genetiche e morfologiche collettive. Mi domando – allora – : quali sarebbero oggi i potenziali benefici di una ulteriore tecnomorfinizzazione-capitalistica dell’uomo? siamo consapevoli come soggetti-pensanti di ciò che quotidianamente adoperiamo? siamo consapevoli come soggetti-pensanti di ciò che ogni giorno abbandoniamo/rigettiamo/rifiutiamo? siamo consapevoli di ciò che quotidianamente sopportiamo/supportiamo? siamo in balia degli eventi o esiste sempre – e senza eccezione – una possibilità, una circostanza che renda possibile una discontinuità dal così-è? possiamo cambiare il mutare degli eventi? siamo realmente liberi di decidere il nostro destino e il

Nell’opera del pittore Claudio Olivieri non c’è tempo per mentire. Egli non altera la realtà, non la deforma, non dice il falso, ma le sue immagini, al contrario, si rivelano, come egli stesso afferma, “fondandosi e fondendosi45 perennemente con la luce e lo sguardo spirituale degli uomini

Ma chi è veramente Claudio Olivieri?

A questa domanda – che a molti potrebbe risultare scontata – cercherò di restituirne un ritratto limpido e penetrante dell’uomo e dell’artista; e io che ho avuto e che attualmente ho la fortuna di frequentare la sua persona tenterò, con chiara scrupolosità, di disegnarne la straordinaria figura che rappresenta e che ha sempre rappresentato per l’arte del secondo Novecento italiano e internazionale, e per me in particolare. O

Ho conosciuto il pittore Claudio Olivieri nel maggio del 2010, anche se, per dir la verità, già dai tempi del liceo vidi stampate per la prima volta, sui libri di storia dell’arte, le immagini delle sue opere: quell’attimo visivo per me fu come un’illuminazione. Avevo da poco cambiato casa e per uno strano gioco del destino lo incontrai, di persona, sedici anni dopo, insieme a un amico pittore, – grazie al proprietario dell’appartamento – lì, nel suo luminosissimo grande studio, all’interno di un modesto cortile in via Carlo d’Adda a Milano: una via situata in una delle vecchie aree quartierali adiacenti al canale, denominato alzàia, del Naviglio Grande. In quel periodo lui aveva settantasei anni e io trentadue.

Non è il curriculum che conta in un artista ma la propria cultura, filtrata attraverso l’opera: il suo contenuto spirituale e ribelle, la sua azione rivoluzionaria. L’attualissimo indottrinamento imposto dall’alto, quello del pensiero unico – il cosiddetto condizionamento generale ingiunto a ogni uomo contemporaneo – viaggia e si incunea anche tra gli artisti, i quali a mio avviso dovrebbero esser i più indisciplinati, i veri rivoluzionari, e non al contrario servi del potere.

La bellezza, promessa di felicità

di Gabriele Morleo
pubblicato il 04 Maggio 2017

Era il 1945 quando, in una Roma dalle macerie ancora fumanti, Roberto Rossellini batteva il primo ciack di quello che poi sarebbe diventato un pilastro della cinematografia mondiale: “Roma città Aperta”, nasceva in quel momento il Neorealismo, la più importante corrente cinematografica italiana.

Per le strade della Capitale echeggiavano ancora i boati delle bombe americane e i sinistri suoni dei passi delle truppe tedesche. L’aria era pregna di odori di morte, povertà e disperazione.